I giudici di Palazzo Spada, facendo una ricognizione degli orientamenti espressi dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato, hanno statuito, con la recente sentenza n. 6605/2025, quanto segue.
La mobilità nel settore pubblico va considerata alla stregua di modificazione meramente soggettiva del rapporto di lavoro illo tempore instaurato, con continuità del suo contenuto e quindi come cessione di contratto.
Tale mobilità comporta, in questo modo, il trasferimento soggettivo del complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto di lavoro.
Il lavoratore trasferito in mobilità conserva tutti i diritti maturati prima della cessione del contratto e, in particolare: qualifica, funzione, retribuzione ed altri diritti connessi all’anzianità;
Il trasferimento per mobilità comporta, tra l’altro, il diritto alla conservazione dell’anzianità del dipendente e tale principio (conservazione della anzianità maturata e della professionalità acquisita) va applicato proprio per le esperienze lavorative svolte presso altre pubbliche amministrazioni.
Il Consiglio di Stato ha poi chiarito che “la ratio di un simile principio applicativo risiede nel fatto che, diversamente opinando (ossia ove non si tenesse conto della anzianità maturata e delle professionalità acquisite presso le amministrazioni di provenienza), la finalità che sta alla base della “mobilità pubblica”, ossia l’ottimale redistribuzione delle risorse umane e dunque il tentativo di riequilibrio tra uffici sovradimensionati e uffici sottodimensionati, risulterebbe inevitabilmente frustrata per effetto del sostanziale disincentivo al trasferimento presso altre amministrazioni”.