Dovere di chiarezza, specificità e sinteticità nell’appello al CdS

Il Consiglio di Stato, Sezione V, Sent. n. 5459 del 2.12.2015 ha ribadito l’obbligo di chiarezza e sinteticità e specificità dei motivi d’impugnazione.

A riguardo, è stato statuito che “…i doveri di chiarezza e specificità degli atti di impugnazione, ed alle conseguenze discendenti dalla loro violazione, il Collegio non intende discostarsi dai principi elaborati dalla giurisprudenza civile e da quella amministrativa (cfr. Cass., sez. lav., 30 settembre 2014, n. 20589; sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698; Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 274; Sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; sez. VI, 24 giugno 2010, n. 4016; Cons. giust. amm., 14 settembre 2014, n. 536; 19 aprile 2012, n. 395), secondo cui:
a) la chiarezza e la specificità si riferiscono all’ordine dell’esposizione delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l’atto impugnato (sia esso il provvedimento amministrativo o giurisdizionale); il principio di chiarezza e specificità dell’impugnazione è valorizzato oggi dall’art. 101, co. 1, c.p.a…..che, nel disciplinare il contenuto del ricorso, espressamente stabilisce che i motivi di ricorso debbano essere «specifici» e che eventuali motivi proposti in violazione di detta regola sono inammissibili: è evidente come lo scopo delle norme sia stato quello di sollecitare le parti alla redazione di ricorsi chiari, al fine di arginare la prassi difensiva di redigere ricorsi lunghi e privi di una lineare enucleazione dei motivi di ricorso, nonché di una chiara distinzione tra fatto, svolgimento del processo e censure proposte;
b) è pertanto onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, sicché la prolissità e la mancanza di chiarezza degli argomenti conducono all’inammissibilità per violazione dei doveri di sinteticità e specificità dei motivi sanciti dall’art. 101, co. 1, c.p.a. per il giudizio di appello; inoltre, l’inesatta suddivisione tra parte in fatto e parte in diritto comporta il rischio dei c.d. «motivi intrusi» ossia di quei motivi di ricorso, ex se inammissibili, perché inseriti nella parte in fatto (con il conseguente diffuso aumento di sentenze che non contengono l’esatta disamina di tutti i motivi di ricorso proposti a causa dell’oggettiva difficoltà di individuarli nel corpo dell’atto)…”.

 

Marco Di Giuseppe

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